Si definisce come una incapacità e impossibilità di separarsi da una relazione fonte di infelicità e insoddisfazione, rabbia e frustrazione ma al tempo stesso l’idea di recidere il legame genera un’angoscia insostenibile, ansia e senso di vuoto. Tradotto in termini molto semplici: sto male con tema sto peggio senza di te. In queste relazioni il sentimento primario che dovrebbe caratterizzare la coppia, l’amore, viene meno ed è sostituito da complesse proiezioni ed emozioni. Chi ne è affetto nutre la profonda convinzione di non poter sopravvivere senza l’altro come se relazione fosse necessaria all’esistenza stessa. La paura di perdere l’oggetto d’amore crea uno stato di costante allarme e attivazione esagerata e irrealistica a fronte di segnali razionalmente trascurabili. Gli spazi dedicati alla propria sfera personale vengono lentamente erosi da queste preoccupazioni e la paura di perdere l’oggetto d’amore si trasforma in ossessione.
La dipendenza affettiva, seppur non annoverata all’interno della nosografia diagnostica, appartiene alle nuove dipendenze, cosi come il gioco d’azzardo o altre legate ai videogiochi e simili.
Le dinamiche psichiche e comportamentali osservabili in un dp sono sovrapponibili a tutti gli effetti ai dipendenti da sostanza:
-euforia: procurata dalla presenza del partner
-tolleranza: l’aumento del tempo trascorso con l’oggetto di dipendenza è proporzionale alla diminuzione del tempo dedicato ai propri spazi di autonomia (hobby, interessi, amicizie)
-astinenza: quando il partner è assente o non corrisponde ai bisogni di rassicurazione o altro si manifestano forti vissuti di angoscia, ansia, panico, depressione
-perdita di controllo: si alternano momenti in cui non si è in grado di controllare le proprie reazioni emotive e comportamentali ad altri di maggiore lucidità caratterizzati da senso di colpa, vergogna, autosvalutazione.
Come nasce la dipendenza affettiva?
E’ la risposta alla paura, al terrore di essere abbandonati che comporterebbe l’attivarsi di emozioni
e sensazioni e pensieri ingestibili e intollerabili per la psiche. La dipendenza affettiva è il risultato di un attaccamento insicuro, ovvero un tipo di legame di accudimento primario caratterizzato da una mancanza di corrispondenza e sincronia ai bisogni del bambino, non solo fisiologici ma anche e soprattutto emotivi e psicologici, non riconosciuti o soddisfatti. Scarse attenzioni, piccoli o grandi traumi, trascuratezza psichica, freddezza e anaffettività si annoverano nelle storie di chi sviluppa questo tratto di personalità.
Caratteristiche osservabili in questo tipo di soggetti sono:
- la difficoltà a creare dei confini tra sé e l’altro, che si vorrebbe inglobare nel proprio mondo interno per controllarlo e al contempo dare sostanza ad un Io altrimenti informe,
- la tendenza a controllare il partner in modo ossessivo con l’illusione di evitare così l’abbandono
- una personalità e una identità abbozzate, poco definite che trovano sollievo da questo senso di incompletezza solo nella presenza di un altro vissuto in modo pervasivo, al quale si dà più importanza che a se stessi
- forti sensi di colpa e inadeguatezza
- insicurezza e scarsissima autostima
- tendenza ad annullare se stessi, fino all’autolesionismo pur di non perdere l’oggetto amato.
Ciò si traduce in atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad evitare la separazione, in difficoltà ad esprimere pensieri ed emozioni, a prendere posizione o decisioni per la paura di sbagliare, costante colpevolizzazione che crea l’illusione di controllare la realtà.
Ma quale tipo di partner sceglie il dipendente affettivo?
Per capire le dinamiche che si creano tra i due partner si fa riferimento ai particolari incastri di coppia.
Sono di tre tipi.
- Uno insegue, l’altro scappa.
Questo tipo di legame si instaura tra un dipendente affettivo passivo, tipologia caratterizzata da una profonda insicurezza e scarsa considerazione di sé e che trova senso della propria esistenza solo nella presenza dell’altro, rappresentato quest’ultimo da una personalità narcisista perversa, da intendersi come tipologia di approccio alla relazione e non come diagnosi. Questi si manifestano sicuri di se, seduttivi e presenti nella prima parte della relazione, per poi trasformarsi in partner freddi e incostanti che lanciano massaggi ambivalenti. Questo tipo di relazione si basa sulla manipolazione mentale e sul messaggio da parte del dipendente affettivo: ti amo perche ho bisogno di te. Egli pensa di non meritare amore e affetto e tende ad una totale abnegazione di se stesso nell’illusione che prima o poi l’altro cambierà e colmerà quel bisogno di considerazione e quel vuoto affettivo che lo caratterizzano. Si pone quindi in una posizione di attesa passiva, incapace di chiedere, attesa che si trasforma gradualmente in rabbia. Nel suo atteggiamento si alternano momenti di passività ad altri di esplosioni di rabbia e disprezzo.
La controparte, ovvero il contro dipendente, vive la relazione come una minaccia e ha imparato a fuggire da qualunque forma di legame per eludere l’abbandono e la conseguente angoscia, essendo stato un bambino che ha potuto contare solo su stesso, crescendo senza la guida del genitori, dai quali si è sentito rifiutato per i loro atteggiamenti o per loro assenza.
Pertanto il bambino impara a negare i propri bisogni ed emozioni vergognandosi di essi e per difendersi sviluppa una corazza, un blocco che impedisce l’accesso alle emozioni. In questo processo si costruisce un immagine di se basata sull’indipendenza, la grandiosità, l’idealizzazione di se stesso e la ricerca di gratificazioni da parte del partner, vissuto come un oggetto di soddisfacimento del suo bisogno narcisistico. Si illudono di non aver bisogno dell’altro e anzi di valere più di coloro con cui interagiscono. Il suo motto è: non ho bisogno di te
2.La codipendenza o sindrome della crocerossina
E’ rappresentata dalla tendenza a scegliere partner bisognosi, malati fisicamente o con patologie psichiche incluse le dipendenze patologiche.
Il senso estremo di sacrificio è ciò che caratterizza questo tipo di legame, in cui il codipendente è stesso si presenta come persona estremamente problematica quindi centrata su se stessa. Il loro motto è: ti amo perché hai bisogno di me, ove il senso della relazione è la speranza che prima o poi gli enormi sacrifici del codipendente producano un cambiamento dell’altro.
Questo tipo di dipendenza viene sviluppato dai bambini precocemente adultizzati cha hanno accudito o hanno vissuto con un genitore malato e in difficoltà, che hanno atteso invano la guarigione dell’adulto per ricevere l’amore e le cure mai ricevute.
C’è la tendenza a idealizzare se stessi e il partner in un circuito destinato a fallire e in cui il codipendete ha bisogno che il partner non guarisca per poter confermare il proprio valore e non essere abbandonato. Egli vive profondi sensi di colpa, legati all’infanzia, senso di inadeguatezza e di essere sbagliato. Il sacrificio rappresenta una espiazione di questa colpa.
3.Dipendente aggressivo
In questo caso la paura dell’abbandono, dell’angoscia e della sofferenza vengono agite, in forma di aggressione verbale e talvolta fisica. La rabbia è il sentimento caratterizzante di questi legami, in cui l’amore e il rispetto sono totalmente assenti ma si sceglie il partner considerato il meno peggio, poiché è profondamente convinto di non meritare affetto, considerazione e sa che non sarà mai corrisposto nei suoi bisogni.
Il dipendente aggressivo vive forti sentimenti di disprezzo verso se stesso e l’altro, svalutato e umiliato, con la convinzione negativa: nessuno sarà in grado di amarmi.
Queste dinamiche a due assumono due forme: tra due dipendenti aggressivi che vivranno in perenne scontro, con toni violenti e risvolti drammatici o la forma vittima-carnefice in cui uno dei due è totalmente sottomesso e succube dell’altro.
4.Amori briciola
Relazioni in cui uno dei due partner si accontenta di briciole di tempo e affetto, ad esempio gli amanti di persone impegnate, che alimentano l’illusione del rapporto con false promesse e aspettative.
L’unione si fonda su una dinamica in cui il partner impegnato cerca evasione e fuga dai problemi della coppia ufficiale da parte del partner già impegnato e che trova una corrispondenza nella figura del codipendente affettivo, spaventato dall’idea di affrontare una relazione per il livello di intimità e il coinvolgimento che comportano e al contempo i pericoli di abbandono e sofferenza.
Come può aiutare la psicoterapia?
Il percorso terapeutico si è dimostrato efficace nel trattare e superare la dipendenza affettiva attraverso innanzi tutto una ricostruzione e rielaborazione della propria storia personale, a partire dall’infanzia durante la quale si sono creati e cristallizzati quei meccanismi riconoscibili nelle relazioni di dipendenza. Nelle storie di questi pazienti sono spesso presenti genitori assenti affettivamente, che non hanno svolto la funzione di “luogo sicuro”, mostrandosi anaffettivi, ambivalenti, trascuranti e poco attenti ai bisogni del bambino.
Focalizzarsi sulla propria storia è importante poiché permette di riconoscere quali e quanti bisogni non sono stati rispecchiati dal genitore e dei quali si ricerca il soddisfacimento in un partner che riflette le stesse caratteristiche del caregiver.
Curare i traumi, attraverso tecniche corporee e emdr, riportare l’attenzione a sé, quali esseri umani interi, e riconoscere i propri bisogni è il primo passo per liberarsi dalla propria dipendenza, smettendo di delegare il riconoscimento di sé all’altro significativo. Riparare l’autostima carente, definire i propri confini separando i propri spazi dall’altro rappresentano le tappe del cammino di un percorso clinico.
Cito, per chiarire quanto descritto, il caso di una paziente, una giovane donna trentenne che inizia un percorso a fronte di forti stati di angoscia che vive ogni qualvolta incontra un uomo e inizia una frequentazione di conoscenza.
Se da un lato vive forti stati di panico all’idea di legarsi l’angoscia raggiunge dimensioni intollerabili all’idea di chiudere la frequentazione, con il caratteristico schema: sto male con te ma starei peggio senza.
Gli incontri clinici consentono alla donna di riconoscere i meccanismi disfunzionali che metteva in atto, mutuati dalle dinamiche familiari, in un contesto in cui si era sentita completamente trascurata da un padre alcolista e soffocata da una madre troppo presente e protettiva.
Dopo qualche mese di terapia la donna riesce a chiudere una relazione tossica senza sentirsi soffocata dall’angoscia e riferisce in seduta: ”ho capito che a me non interessava lui. Avevo bisogno delle attenzioni che mi dava. Se al posto suo ci fosse stato qualcun altro per me sarebbe stato uguale. E mi rendo conto che questo vale per tutte le relazioni del passato. Per me andava bene chiunque colmasse quel vuoto che sento dentro, anche se non ricevo amore ma quel poco di considerazione che per me era come una droga”. Da quel momento la sua rinascita è iniziata