Illustrare il mio metodo di lavoro è imprescindibile dal dettagliare cosa significa essere un’analista junghiana, oggi.
Molte persone, per non conoscenza della teoria o per adesione acritica a certe immagini popolari e divulgative, associano la psicologia analitica al misticismo, alla new age, ad approcci fideistici basati più sulla religione o credenze relative all’universo che non ad un metodo di lavoro.
Sbagliatissimo!
Questo pregiudizio nasce da una collocazione errata innanzi tutto della personalità dell’autore.
Jung è da sempre stato interessato allo studio e alla conoscenza con un’apertura a trecentosessanta gradi, ha dimostrato un interesse per la storia, dell’uomo e dell’anima, in tutte le sue sfaccettature e ha aggregato il suo poliedrico sapere in una teoria sulla psiche che la pone in un sistema molto più ampio e variegato del singolo e del suo Io, ma piuttosto in un sistema che considera l’essere umano come il portatore della storia di tutte le generazioni e dell’umanità intera aprendo quindi uno sguardo molto più ampio sull’uomo e la sua sofferenza.
Inoltre Jung ha ufficializzato quello che oggi viene considerato sempre più coralmente l’elemento di cura di un percorso in cui si incontrano professionista e paziente: la relazione.
Quindi per riassumere per me essere una psicoterapista junghiana oggi significa essere aperta ad ogni forma di sapere e, soprattutto, di metodi mutuati da altre scuole di pensiero, ma con un’attenzione precipua ed elettiva all’elemento di cura determinate: la relazione.
L’alchimia dell’incontro, lo scambio, la trasformazione, la restituzione.